Lettera a Micheal…


msbragia

Mattia Sbragia (Roma, 17 aprile 1952) è un attore e doppiatore italiano, di teatro, cinema e televisione, figlio di Giancarlo Sbragia. Nella sua carriera si è fatto conoscere e apprezzare, grazie ad alcune importanti produzioni internazionali, anche all’estero. La lettera immaginaria scritta ad un amico è una perla di saggezza. Mette in risalto come non si scrive più tradizionalmente con foglio e busta. Internet ha cancellato anche la curiosità e la bellezza  della lettera per posta.

Caro Michel,ciao, come stai? Che fai di bello?…sono anni che vorrei scrivere questa lettera. Una normalissima lettera. Di contatto. Di saluto. Di ringraziamento. Una lettera.Ma non se ne scrivono più. Se arrivano, le poche buste che intasano le cassette installate all’ingresso dei palazzi in cui si abita, messe quasi per bellezza, vengono prese per pubblicità, nel migliore dei casi. O per avvisi di un remoto cattivo e inspiegabile esattore che mai ti spiega ma che sempre esige troppi inspiegati soldi e di malagrazia come ai tempi dei feudi. Le lettere. La posta.Che oggi si tinge di giallo per farsi vedere, quando una volta tutti sapevano dove cercarla e trovarla. Per spedirle. Per riceverle. Lettere che hanno fatto vivere il mondo, le scienze, le emozioni, le letterature e, al fondo delle cose, le culture, non se ne scrivono più. Ma non perché non si possa farlo. Perché non se ne ha voglia. Si finge che manchi il tempo per farlo. E ci si crogiola nel crederlo.Caro Michel, come stai?….Ne avrei proprio voglia. Allora, si potrebbe fare così… aprire una chat su FB e digtare “ciao. Tutto b.?. Xchè nn risp?” .Ammesso e non concesso che le sinapsi interessate nel ricevente intellegano il messaggio…  si comincia ad aspettare una risposta. Ma Michel non ce l’ha il “profilo” (che chissà perché si chiama profilo. Anche “di fronte” sarebbe andato bene. Anzi meglio. Più aperto e schietto. Ma il profilo è una cosa sfuggente. Più pertinente a tirare il sasso e nascondere la mano. Insomma, in fondo il “profilo” è sleale).Quindi per rimediare, ancora, alle mancanze di Michel, al tempo dell’oggi, si rimedia digtando un SMS. Ma ancora più ristretto. Del tipo:” tra mezza baretto. Puntuale!”.Allora, risposta:” N” oppure “S”.Però, poi….: il baretto era un’ altro per tutti e due, la mezz’ora era per chi scrive, e “mezza” era mezzogiorno per il destinatario, romano. E nessuno dei due c’è andato per paura di perdere tempo.Tempo. Non esiste più cosa meno utilizzata del tempo, oggi. Oggi solo si corre. Questo sì.Una volta si andava. Ma andando avevi tempo di riflettere. E alla fine dell’andare, alle volte la visione delle cose era mutata. Radicalmente mutata.E scrivere è la stessa cosa. Concentrarsi su di un azione dedicata a mantenere vivo qualche cosa che abbiamo eletto a “parte” della nostra vita. E al tempo dell’oggi questa pratica poetica è solo un ricordo di vite vecchie. Nonna scriveva sempre…. Un ricordo. Oggi neppure la parola dedicata al mestiere (sparito) della dattilografa, “digitare”, mantiene più la propria dignità ed è diventato DGT o DIGTARE.Ma si troverà, prima o poi , il modo di cancellare la desinenza verbale, che fa perdere tempo. Che alibi favoloso quello della paura di perdere tempo. Finché si corre, si ha la sensazione di “fare” qualcosa, di essere “occupati”, “dedicati a qualcosa”.Come si smette, si cade nel cupo vuoto di una solitudine smisurata. In cui l’animale si scatena in tutto il suo peggio, forte dell’aver percepito che a nessuno interessa “qualcuno”. Per me sedersi al tavolo, con tutti quegli intarsi o con quella patina lucida lucida che ritiene impressa ogni maldestra manata sul suo piano, è ancor oggi un rito.La macchina diabolica che nessuno vuole ammettere di volere, unica finestra sul mondo immaginario che si dovrebbe abitare, campeggia padrona del tempo e dello spazio della nostra vita.Su quel tavolo ho letto e scritto metà della mia vita. Ma quella macchina diabolica che consente anche di non vergognarsi della propria ignoranza, (se non lo sai, chiedi a lui e lui risponderà) sembra essere la scorciatoia per risparmiare tempo.Ma lui risponde quello che vuole lui. E, il più delle volte, gli altri non sanno esattamente cosa volevano come risposta…Ebbene anche io, abboccai alla macchina che mi consentiva di scrivere senza sporcare di fogli sparsi, le mie case. E poi oggi, quei fogli possono volare, da una casa all’altra, da una macchina all’altra. Con sempre dentro il naso di qualcuno che non vuol farsi riconoscere ma che ci sorveglia.Per la nostra “sicurezza”.Lasciamo andare. Caro Michel… mio povero, caro , dolcissimo Michel…Ma ancora non me lo posso permettere di scrivere questa lettera, che, oggi, vorrei scrivere su bella carta, con la penna migliore e tutto il tempo necessario a trovare il giusto modo di fargli capire ciò che vorrei dire.. Non me lo posso permettere.Non so permettermi di accettare che la nostra amicizia sia finita. E che ora lui abiti solo nella mia memoria o nella mia anima. In un posto, insomma, che non esiste nelle evidenze del mondo. E nel mondo dell’oggi si esclude che possa esistere quel posto. Mi sono trovato spesso a pensare a lui. Nei momenti più inaspettati. Per semplici assonanze. E il piacere di vedermelo riapparire davanti agli occhi è sempre stato uguale al dolore con cui constatavo che l’unica cosa viva che ho di lui sia il mio ricordarlo.Per questo gli vorrei scrivere. Lui, alto 90 centimetri. Lui storto e rotto dalle malattie “genetiche”. Lui cresciuto nell’abbandono di una famiglia che si vergognava della sua storpiaggine.Lui che passò anni chiuso in una soffitta per paura che i vicini lo vedessero. Che imparò il pianoforte per disperazione, da autodidatta. Lui che esplose al mondo perché era alto 90 centimetri ma suonava come se fosse alto due metri e venti e assomigliasse a Gary Cooper (che non lo sapeva suonare, mi disse maliziosa mia madre) anche se viaggiava appeso alle sue grucce.Lui che aveva conosciuto ogni minima scheggia della solitudine e dei suoi motivi. Che aveva ricevuto il peggio degli uomini sia quando non era nessuno, sia quando seppe diventare, nonostante tutto, il secondo pianista jazz più bravo al mondo, dopo il mitico Keith J.Lui che prese la mia amicizia e se la annodò al cuore  in una notte d’inverno, quando lo conobbi che suonava in un piccolissimo club della grande solitudine Romana.Lui che aveva il posto riservato sul Concorde, per non mancare mai un concerto intorno al mondo, e ne rideva a crepapelle. Lui che mi chiese, io unico pazzo al mondo che lo volesse fare, la follia di  un giro in moto, nella notte delle notti, nella mia città; ed io me lo legai addosso con le cinghie dei libri per non schiacciargli quelle costole che lui si rompeva solo starnutendo. E lui visitò la città eterna, appiccicato alla fiducia che riponeva in me, con una bottiglia in una mano e il bicchiere nell’altra, urlando dalla gioia, dalla sorpresa, dalla felicità, dalla agitazione. Uomo grande che preferiva, nella sua inarrivabile capacità artistica, suonare con musicisti bravi pur se sconosciuti, piuttosto che soggiacere al suonare con mezze tacche chiacchierate.Lui che quando seppe che mio padre, (allo stadio terminale della sua malattia, chiuso a casa ad aspettare di partire, suonava mesto il suo adorato pianoforte in cui millanta anni prima si era diplomato al conservatorio), volle fargli visita , e a casa sua, e seduto accanto a lui, gli eseguì tutto il suo concerto completo.E poi se ne andò con un sorriso e il più riconoscente sguardo di ammirazione che abbia mai visto negli occhi di mio padre.Lui che si sposò e mi volle testimone di nozze per cui io volai di corsa a New York pur di non perdermi questo onore. Lui che si sposò, amò, ebbe figli, divorziò, visse ogni minuto della sua straordinaria vita con un riso contagioso e un entusiasmo trascinante.Lui che morì perché alla fine di un concerto, in dicembre a New York, grondante del sudore del suo travolgente successo, volle aprire la finestra del suo camerino per vedere quanto bella fosse sotto la neve quella città. Lui che in tre giorni esatti morì per questoIo ancora non riesco a scrivergliela la  mia modesta lettera di ringraziamento. Grazie per aver fatto di me un uomo migliore , solo giocando con la vita assieme a qualcuno che aveva saputo prendere in giro  persino il proprio destino.

Grazie Michel.Ciao.Poi ti scrivo.

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