La chiesa ischitana nel mirino…o dentro o fuori


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La Chiesa di Ischia nella tempesta. Divisioni, epurazioni, purghe. Il vuoto che avanza.Siamo quel che mangiamo: un popolo di conigli. No, non ci salverà il fatto di essere anche un popolo di mangiaostie a tradimento (anzi!). Sbarcassero a Ischia quelli dell’Isis liquiderebbero la pratica cristianesimo in quattroequattrotto, ma tra i pochi resistenti troverebbero sicuramente don  Gino Ballirano, un prete con gli attributi che non a caso va in giro vestito da prete. Uno che il catechismo lo conosce e che non ha paura di insegnarlo così come è, senza sconti o annacquamenti. Solo chi è capace di difendere la verità può difendere la libertà. E dunque non mi sorprende che sia rimasto solo in questi giorni di sofferenza. Una chiesa locale, che interviene su tutto e su tutti, non ha speso infatti una sola parola di solidarietà verso un sacerdote vittima di un attacco vergognoso e infame apparso su un giornale locale che, nome a parte, ha perso oramai tutto quel che il suo fondatore aveva creato. È chiaro che il silenzio non è casuale, viste le contrapposizioni interne al clero isolano. Evidentemente c’è chi predica l’unità coi buddisti e gli induisti ma poi non è capace di un piccolo gesto di solidarietà con i propri fratelli nella fede. Strano però che chi menziona le presunte “disobbedienze” di don Gino, dimentica altre vicende (queste sì davvero gravissime e dolorosissime per l’indimenticabile vescovo Strofaldi) come l’opposizione, da parte di una parrocchia ischitana, di cedere alcuni locali per realizzare un convento di suore claustrali dedite alla adorazione eucaristica perpetua… (ne parleremo, se occorre, qualche altra volta). PURGHE STALINIANE?Invidie e divisioni ci sono sempre state, ma l’attuale drammatica spaccatura all’interno del clero ischitano davvero non ha precedenti. Mi chiedo se sia giusta la strada che il nuovo Vescovo Pietro, su imput di qualche suo consigliere, sembra aver scelto. Quella cioè di mettere nell’angolo, di rendere “inoffensivo”, di ridicolizzare chi da fastidio e non si omologa alla vulgata cattoprogressista, per dare sempre più spazio ai “signor si”. Davvero si pensa di poter realizzare l’unità della Chiesa di Ischia attraverso questa vera e propria opera di sovietizzazione (di “focolarizzazione”), con tanto di purghe staliniane?Insomma, si parla d’amore e si pratica l’epurazione con buona pace di quelle “periferie esistenziali” di cui parla Papa Francesco. Periferie che forse si intende riempire con tanto, profumatissimo, suadente e affascinante vuoto… I FRATELLI MANCUSI.È in questo contesto di guerra fratricida che si inserisce la triste vicenda di Pasquale e Vincenzo Mancusi, i due seminaristi che, com’è noto, sono stati incredibilmente estromessi dal seminario di Napoli dopo 7 anni di studio e formazione spirituale durante i quali hanno mietuto stima e apprezzamenti da parte di tutti. In 7 anni tutto è dunque filato liscio, nonostante le battute cretine dei soliti cattoprotestanti dello scoglio che evidentemente amano tutti i simboli religiosi, tranne quelli della propria religione, e infatti esultano a vedere le donne col burqua ma non sopportano i preti in talare. Così, dopo 7 anni, improvvisamente, si scopre che i Mancusi non sarebbero pronti per il sacerdozio (nonostante apprezzino molto la pasta e ceci…). Sì, questa storia puzza di bruciato e in attesa di scoprire come andrà a finire, non posso far finta di nulla dinanzi ai freddi ragionamenti di coloro i quali hanno giustificato e condiviso la decisione del rettore del seminario di Napoli (e del nostro Vescovo!) di stroncare (per restare su un piano umano) oltre alla vocazione, anche i sogni, i desideri,il futuro dei due ragazzi. Trattasi, sia detto senza mezzi termini, di ragionamenti da “burocrati del sacro”. Infatti, il linguaggio utilizzato è degno dei Tribunali del Popolo, nel quale non vi è più posto per la trascendenza, la chiamata dall’Alto, la vocazione, la Carità cristiana (quella che si invoca per i terroristi, ma non per chi difende la millenaria Tradizione della Chiesa Cattolica…). Si citano norme e si parla di “diritto”. Si riafferma l’utilità di avere un clero dinamico e brillante, spiritoso e teologicamente corretto. Si ribadisce la necessità di doversi “adeguare ai tempi”. Si riscopre che l’obbedienza è una virtù (sic!), e proprio gli stessi che, fino a qualche mese fa, facevano ironia o contestavano apertamente l’infallibilità del Papa (un dogma mai abbastanza chiarito), oggi predicano…  nientemeno che l’infallibilità addirittura anche del Vescovo! Mentre si da vita ad una sorta di gendarmeria del pensiero unico bergogliano.UNA SPIRITUALITA’ SENZA TRASCENDENZA.Suvvia! Se ho ben capito, possono diventare preti solo i “perfetti”, quelli che pensano e agiscono come il nuovo politburo pretesco desidera. E non c’è più spazio per concetti come “chiamata”, “misericordia”, “carità” “adesione alla volontà di Dio”, “vocazione”, “libertà”. È la burocrazia, ragazzi! Viene in mente “Don Camillo e don Chichi”, una delle storie uscite dalla penna di quel genio che era Giovannino Guareschi.Don Chichi è il giovane pretino progressista mandato a sostituire il vecchio don Camillo spedito in esilio. Tutto sommato il curatino si dice dispiaciuto che don Camillo sia stato cacciato via, ma Cat, la nipote del vecchio parroco, si dimostra inflessibile: un paese vivo ha bisogno di preti giovani e dinamici come don Chichi. E questi chiede ragione di un tale ragionamento. Ma Cat risponde: “Lasci perdere, don Francesco, se glielo dicessi ne sarebbe addolorato. È un discorso che non si può fare a un sacerdote. Sacerdote non si diventa, si nasce!”.“Sbaglia signorina Cat – replicò don Chichì- Io sono diventato sacerdote non per ispirazione, ma per ragionata convinzione. Io mi sono reso conto che la Chiesa può fare tanto bene a chi soffre…”.In queste poche righe don Chichi (e con lui i suoi eredi spirituali del Terzo Millennio) riesce a demolire il concetto di vocazione e a trasformare il prete in una sorta di assistente sociale. Il culto divino e la salute delle anime non sono contemplati nel suo essere uomo di Chiesa. Dio sparisce dall’orizzonte di questa persona disposta ad inginocchiarsi soltanto davanti all’astratta umanità. Ma la fede senza trascendenza (tutta ragionamenti e “utilità”) è una perversione che allontana la creatura dalla realtà. La fede senza trascendenza diventa ideologia. Si noti il particolare: don Chichì non ha fede, nessuno lo ha chiamato a fare il prete, perché parla di “ragionata convinzione”. Qui i concetti di vocazione e libertà sono completamente fraintesi. Un errore comune a troppi cristiani. A troppi preti di oggi.FUORI, TRA I BANCHI.Tutto quanto avete potuto leggere sopra conferma il mio convinto, sofferto e profondo “anticlericalismo”. Bisogna cioè onorare e rispettare i sacerdoti. Ma da lontano. E mi conforta sapere che anche Padre Pio la pensava così. Non sopportava i laici che ronzavano attorno alle tonache che allora si chiamavano “baciapile”, oggi “impegnati nella pastorale”. Il Santo diceva, col suo solito modo ruvido: “O dentro o fuori”. Cioè: se ti piace l’ambiente entra nel clero, sennò fai davvero il laico. Pertanto, chi non vuol perdere la fede resti fuori dalle sacrestie. E torni nuovamente ad invocare a gran voce: Signore Salvaci!

 Luciano Castaldi

 

 

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