Marco Laraspata – Se un ente non risponde a una istanza o a una richiesta vale la regola del silenzio assenso o silenzio rigetto? Come ottenere il risarcimento del danno in caso di mancata risposta?AmbroseBierce diceva che la «burocrazia è l’arte di rendere impossibile il possibile». Chi ha avuto a che fare con un ente o qualsiasi altra pubblica amministrazione, un Comune, una Regione, l’Inps, ecc. sa quanto difficile sia uscire fuori dalle procedure, dai timbri sui certificati, dai nulla osta, dalle circolari. Parlare con un dipendente pubblico non ha alcun valore, peraltro, se l’eventuale risposta non viene messa per iscritto. Così, ecco che presentare un’istanza è l’unico valido modo per interloquire con la pubblica amministrazione. Le richieste di annullamento di atti illegittimi, le domande per ottenere una concessione, un beneficio, un contributo o per avere un semplice parere vanno messe nero su bianco. Ma anche in questi casi ci si scontra con un altro grosso problema della pubblica amministrazione: l’inerzia. Non è detto che l’ente risponda. Come interpretare il suo silenzio e come agire dopo? In altri termini cosa fare quando la pubblica amministrazione non risponde? In questo articolo forniremo le dovute spiegazioni.
Indice
- 1 Se un ente non risponde, come interpretare il silenzio?
- 2 Procedimenti amministrativi a istanza del cittadino
- 3 Procedimenti amministrativi d’ufficio
- 4 Come difendersi dal silenzio rigetto?
- 5 Silenzio inadempimento
Se un ente non risponde, come interpretare il silenzio?
Se hai letto già il nostro articolo Chi tace acconsente: è vero anche per la la legge?, saprai già che il silenzio è un fatto che viene disciplinato dalla legge molte volte. In alcuni casi, il silenzio viene considerato come “ammissione”, riconoscimento e, quindi, “assenso”. In altri casi il silenzio viene considerato come “contestazione” e, quindi, “rigetto”. Ad esempio se sei in causa con una persona, il tuo silenzio su eventuali contestazioni dell’avversario significa che ammetti i fatti; viceversa, non sei tenuto a rispondere a una lettera di diffida e se non lo fai non significa che stai ammettendo il debito.
Con lo Stato e gli enti pubblici le cose variano sensibilmente e ciò in ragione del carico di lavoro che determinati uffici hanno e che potrebbe portarli a un ingolfamento se dovessero rispondere a tutte le istanze e richieste presentate (a volte senza motivo fondato) dai cittadini. Ecco perché la legge si è curata di dare, al silenzio della P.A., uno specifico significato, spiegando cosa fare quando la pubblica amministrazione non risponde. La questione però va divisa a seconda di due ipotesi differenti:
- i procedimenti amministrativi che iniziano con una istanza del cittadino: è il caso in cui il privato si rivolge all’ente e pone una specifica richiesta (ad esempio la richiesta di un permesso di costruire, ecc.);
- i procedimenti amministrativi che iniziano d’ufficio, ossia su iniziativa della stessa P.A. (si pensi a un accertamento fiscale o all’accertamento di un abuso edilizio).
Procedimenti amministrativi a istanza del cittadino
Nei rapporti con enti e pubbliche amministrazioni, la regola generale per tutti i procedimenti che iniziano con un’istanza del cittadino è quella del silenzio assenso: in altri termini, se il privato presenta una richiesta e non ottiene risposta, la stessa si deve considerare accolta. Si pensi al ricorso al prefetto contro una multa: se questi non risponde entro 220 giorni (180 se il ricorso viene spedito direttamente all’ente accertatore), il ricorso si considera accolto. Si pensi anche al caso del permesso di costruire: una volta che il cittadino non ha ricevuto risposta nei termini di legge, la licenza si considera accordata. Questo principio, fissato dalla legge sul procedimento amministrativo del 1990 [1], è in armonia con i principi di buona amministrazione e di imparzialità; ciò ha fatto sì che il legislatore sancisse l’obbligo generale della P.A. di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso, attribuendo, così, al privato un vero e proprio diritto alla conclusione del procedimento amministrativo.
Questa regola, come detto, dovrebbe avere portata generale. Tuttavia la stessa legge ha previsto un gran numero di eccezioni tanto da far ritenere queste ultime di estensione quasi pari alla regola. In particolare, nei seguenti procedimenti vale l’opposta regola del silenzio rigetto (o silenzio diniego):
- il patrimonio culturale e paesaggistico;
- l’ambiente;
- la difesa nazionale;
- la pubblica sicurezza;
- l’immigrazione, l’asilo e la cittadinanza;
- la salute e la pubblica incolumità;
- i casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali;
- i casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza;
- gli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro per la Funzione Pubblica, di concerto con i ministri competenti.
Procedimenti amministrativi d’ufficio
Nei procedimenti amministrativi che iniziano d’ufficio, ossia senza sollecitazione del privato (di solito si tratta quasi sempre di accertamenti di violazioni e infrazioni), vale la regola opposta, quella cioè del silenzio rigetto. Quindi, se un privato presenta alla polizia una richiesta di annullamento di una multa che ritiene illegittima, ma non ottiene risposta, la sua domanda si considera rifiutata. Se il cittadino presenta un ricorso in autotutela contro un accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate, ma questa non dà alcun cenno di vita, il ricorso si considera non accolto. Se si chiede lo sgravio di un cartella di pagamento e l’esattore non risponde, la richiesta si considera rigettata.
In questo caso possiamo far rientrare anche la domanda di accesso agli atti amministrativi: se il cittadino chiede di poter verificare dei documenti e la pubblica amministrazione non risponde, la richiesta si considera rigettata [2].
Come difendersi dal silenzio rigetto?
Se la pubblica amministrazione non risponde nei termini, per quanto il suo silenzio sia considerato rigetto, non è detto che ciò sia imputabile a una precisa scelta. Potrebbe infatti dipendere semplicemente da inerzia o inefficienza. Ecco perché il cittadino può sempre impugnare, davanti al giudice amministrativo (il Tar)il silenzio rigetto. In caso però di ricorso in autotutela, il silenzio della pubblica amministrazione non può essere impugnato, a meno che il ricorso non fosse legittimo e fondato.
Silenzio inadempimento
Esistono ipotesi in cui la P.A., di fronte alla richiesta di un provvedimento da parte del privato, non provvede nei termini previsti dalla legge (o da norma regolamentare) e questa non contiene alcuna indicazione sul valore da attribuire al silenzio. Per tutelare il cittadino danneggiato dall’inerzia della P.A., la legge [3] prevede che, decorsi i termini per la conclusione del procedimento, e negli altri casi previsti dalla legge, chi vi ha interesse può chiedere:
- il risarcimento del danno;
- l’accertamento dell’obbligo della pubblica amministrazione di provvedere.
Vediamo singolarmente le due ipotesi.
Come avere il risarcimento del danno contro il silenzio dell’amministrazione
La domanda di risarcimento (per lesione di interessi legittimi) va avviata entro il termine di decadenza di 120 giorni. Il termine decorre dal giorno in cui scade il termine entro il quale la P.A. avrebbe dovuto provvedere. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti. Non è dovuto il risarcimento per quei danni che il cittadino avrebbe potuto evitare se avesse usato l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti.
L’accertamento dell’obbligo della P.A.
L’azione di accertamento dell’obbligo della P.A. è volta a ottenere l’esecuzione forzata dell’obbligo. Essa può essere proposta fintanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di conclusione del procedimento.
Il ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida, con atto notificato all’amministrazione e ad almeno un controinteressato.
Il ricorso è deciso con sentenza in forma semplificata e in caso di totale o parziale accoglimento il giudice ordina all’amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a trenta giorni.
Il giudice nomina, ove occorra, un commissario ad acta con la sentenza con cui definisce il giudizio o successivamente su istanza della parte interessata.
note
[1] Legge n. 241/1990.
[2] Art. 25, co. 4, L. 241/1990.
[3] Art. 31 del Codice del processo amministrativo, varato con il D.Lgs. 104/2010.